Le lauree umanistiche spaventano. Nel nostro paese, patria delle humanities, la cultura classica e umanistica viene ghettizzata e considerata sostanzialmente inutile.
I datori di lavoro nostrani non riconosco ai laureati in materie umanistiche capacità tali da essere applicate nel contesto aziendale.
Eppure dovrebbe essere palese che un caposaldo della cultura umanistica è proprio la flessibilità, la capacità di risolvere problemi utilizzando un pensiero laterale.
In altri paesi tra cui Inghilterra e Usa, se hai seguito buoni studi umanistici, in cui ti sei distinto con profitto, puoi intraprendere qualsiasi carriera: non ci sono preclusioni. Gli esempi sono innumerevoli.
LAUREE UMANISTICHE: Esempi di successo
Indice dei contenuti
La più importate donna manager britannica, Emma Walsmley, a capo del colosso farmaceutico GlaxoSmithKline, è laureata in lettere classiche a Oxford.
La donna più famosa della finanza, Helena Morrissey, ha fatto filosofia a Cambridge. La direttrice della comunicazione di Mittal (il gruppo dell’acciaio che si è comprato l’Ilva), Nicola Davidson, è una pianista classica diplomata in musica, che poi ha cominciato la carriera facendo comunicazione finanziaria.
PWC, il gigante della revisione contabile e consulenza manageriale, compra pagine di pubblicità sui giornali dirette ai laureati in materie umanistiche: venite a lavorare da noi, dicono, siete i benvenuti.
In Italia si può accedere alla carriera diplomatica solo avendo fatto studi politici, giuridici o economici. In Gran Bretagna si può aver fatto di tutto. L’attuale ambasciatrice a Roma, Jill Morris, è laureata in lingue e letterature straniere. Il predecessore, Christopher Prentice, aveva fatto lettere classiche (a Oxford). E la diplomazia britannica è zeppa di classicisti.
Non basta. La metà degli avvocati inglesi non ha fatto legge: hanno solo seguito un corso di specializzazione, dopo essersi laureati magari in storia o in lettere.
Un principe del foro, un QC (Queen’s Counsel), laureato in letteratura, sosteneva di recente l’abolizione tout court della facoltà di legge, perché inutile. Molto meglio, diceva, aver studiato humanities e poi essersi specializzati.
Insomma, se in Italia si superasse la ghettizzazione degli studi umanistici si metterebbero in circolo, come accade a Londra, talenti che non farebbero altro che giovare all’economia e alla società.
Potrebbe interessarti: Scegliere gli its per trovare lavoro
Il punto di vista Americano
Non si può fare un paragone neanche fra Italia e Stati Uniti, perché il sistema educativo è differente.
In Italia si predilige l’aspetto teorico, volto a una formazione che spesso è slegata dall’ambito lavorativo. Negli Stati Uniti si insegna un sapere utilitaristico, che fornisce precisi strumenti di orientamento nel mercato del lavoro. Tanto che non si parla di “cultura umanistica”, ma di humanities e liberal art, discipline che forniscono competenze in grado di rimodulare il sapere in senso strumentale. Un esempio è il counseling filosofico, una figura che si affianca allo psicologo e lo psicanalista, mettendo a frutto gli studi in filosofia per fornire supporto psicologico.
Financial satisfaction
I laureati nelle humanities percepiscono un reddito “mediano” (il valore al centro della curva di distribuzione) di 52mila dollari l’anno dopo il titolo triennale, per salire a 72mila dollari dopo l’equivalente della laurea magistrale. Meno rispetto ai picchi di classi come ingegneria, dove si arriva a 82mila dollari, ma comunque sopra agli standard necessari per la stabilità economica e soprattutto di chi si è fermato alla formazione superiore: i colleghi che hanno intascato un solo diploma non vanno oltre i 34mila dollari.
Quanto alla financial satisfaction, la soddisfazione finanziaria, i laureati nel settore mostrano conquiste e disagi simili a quelli degli altri corsi di studio. Ad esempio la quota di chi dichiara di “guadagnare abbastanza per fare tutto quello che si desidera” supera quella registrata tra i laureati nell’ambito del business, giudicato di norma più “professionalizzante” rispetto a filosofia, letteratura antica o storia.
Un ritratto non dissimile da quello che emerge in Italia, secondo i dati del consorzio Almalaurea. A fronte di stipendi comunque più bassi rispetto ai laureati in ingegneria o del gruppo economico-statistico, i professionisti di estrazione umanistica registrano un tasso di soddisfazione identico: 7,5 su 10.
LAUREE UMANISTICHE:Gli sbocchi professionali
Il valore aggiunto delle lauree umanistiche potrebbe essere proprio l’assenza di una traiettoria univoca tra studi e lavoro.
Nella ricerca dell’American academy of arts and sciences emerge che l’11% dei laureati nel settore fa carriera nel management, accanto a quote interessanti di professionisti riconvertiti in ambiti come Ict, finanza, vendite, servizi.
Le industrie del digitale e del tech si stanno rivelando come due tra le più “affamate” di laureati in possesso delle competenze intellettive fornite da studi umanistici.
Nella Silicon Valley spopolano precedenti illustri come il fondatore della software company Slack Stewart Butterfield (laureato in filosofia) o della Ceo di Youtube Susan Wojcicki, laureata in storia e letteratura ad Harvard prima di virare sull’economia con un dottorato. Ma non è necessario capitanare colossi del settore per ambire a un’occupazione nella digital economy, anche partendo da una base minima di conoscenze delle tecnicalità.
Ad esempio studi in linguistica e semiotica possono essere decisivi quando si tratta di “istruire” robot con le tecniche del machine learning, mentre una base in filosofia etica e morale è necessaria per un automation ethicist: gli specialisti chiamati a valutare gli impatti economici e sociali dell’automazione, “dando un senso” a macchinari concepiti per dialogare con i dipendenti umani.
Potrebbe interessarti: lavorare nel 2025: professioni del futuro e professioni in declino
Oltre alle contingenze della tecnologia, però, la versatilità dei laureati del settore nasce da una “predisposizione psicologica”: chi si iscrive a lettere antiche o filosofia della scienza è già abituato all’idea che potrà o dovrà reinventarsi in un ambito diverso da quello di studi, applicando altrove la duttilità di pensiero acquisita. Chi entra in una facoltà umanistica sa dal primo giorno che non andrà a “professionalizzarsi” e questo predispone dal punto di vista della reazione psicologica: devi essere versatile perché sai che i problemi che affronterai saranno diversi da quelli studiati.
Tu che scelta hai fatto? Umanistica o no? Fammelo sapere nei commenti
Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie di Vrformazione! Iscriviti alla newsletter!
Buongiorno,
io laurea Umanistica da parecchio ma non è apprezzata anzi viene ignorata completamente..Forse cerco nei settori sbagliati.
Buona giornata
Ciao Cristina,
piacere di conoscerti! Che tipo di Laurea Umanististica hai preso e soprattutto a quali tipi di annunci stai rispondendo o ti stai candidando?
Fammi capire meglio, per poterti dare un “consiglio” ho bisogno di qualche informazione in più!
A presto!
La mia ragazza ha due lauree umanistiche : scienze della comunicazione e giornalismo ma è il nulla più totale. In un anno nemmeno una chiamata per un colloquio… Difficile non essere negativi…
Io sono laureata in Filologia classica, magistrale, e Lettere classiche, triennale.
Sono certificata IELS in Inglese e parlo russo e tedesco.
Non mi assume Nessuno :((