GENDER PAY GAP: LE DONNE GUADAGNANO MENO

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Per guadagnare quanto gli uomini alle donne occorrono 2 mesi in più.

Il divario tra uomini e donne, in Italia è in caduta libera. Già terzultimi in Europa, nella classifica internazionale del Gender Gap Index 2017 siamo all’ 82esimo posto.
Il gender pay gap cioè il divario tra uomini e donne per quanto riguarda il reddito si fa ancora sentire e i motivi sono diversi, scopriamoli insieme.

GENDER PAY GAP: I DATI

Nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini.
Secondo l’Istat la differenza di stipendio tra uomini e donne, in Italia, è la più bassa di tutta l’Unione Europea.
In media le donne guadagnano il 5,5% in meno degli uomini, primato condiviso con il Lussemburgo, a fronte di una media Ue del 16,3%.
In base a questi dati l’Italia appare virtuosa rispetto agli altri paesi, perché dalle statistiche risulta abitualmente un gap di salario complessivo tra uomini e donne molto contenuto.

fonte: job pricing

Questo perché il Gender pay gap ( differenza salariale di genere) considera la differenza tra i salari orari lordi medi di uomini e donne espressi in percentuale del salario maschile, ma la differenza nella retribuzione media oraria rappresenta solo una parte della disparità di retribuzione complessiva tra uomini e donne.
Se consideriamo la retribuzione media annua invece della retribuzione media oraria, il differenziale si allarga per il minor numero di ore lavorate della componente femminile. Il divario è anche maggiore se consideriamo il basso tasso di occupazione delle donne in Italia.
Alla luce di quanto detto l’indicatore non è significativo, proprio per questo Eurostat ha sviluppato un indicatore, denominato Gender overall earnings gap, che misura l’impatto di tre fattori tra loro combinati sul reddito medio di uomini e donne in età lavorativa:

  1. guadagni orari
  2. ore retribuite
  3. tasso di occupazione

Ed ecco li che il valore restituito ci mostra una disparità del 43,7%, cosa non da poco conto.

GENDER PAY GAP: DA COSA DIPENDE LA DIFFERENZA

I divari retributivi aumentano a causa di una serie di scelte che gli individui devono affrontare nel corso della loro vita lavorativa. Queste scelte riguardano:

  • l’istruzione;
  • il lavoro, la professione o l’attività;
  • il settore;
  • La scelta di una grande o di una piccola azienda;
  • il lavoro part time o a tempo pieno;
  • la formazione supplementare relativa al proprio lavoro.

Uomini e donne prendono generalmente decisioni diverse, di solito più legate al genere che per libera scelta.

Se pensiamo alle nostre nonne, ed in alcuni casi, anche alle nostre mamme, noteremo una differenza occupazionale netta tra uomini e donne.
Prima si era mamma a tempo pieno, ed il proprio lavoro consisteva nell’accudire la casa e la famiglia gestendo anche l’economia domestica; il padre invece “portava i soldi a casa” .

 

livello di istruzioneCon l’emancipazione femminile, con le esigenze economiche che andavano cambiando, piano piano le donne hanno cominciato ad affacciarsi al mondo del lavoro iniziando la faticosa lotta per conciliare lavoro e famiglia.

In virtù di questo hanno sviluppato una preferenza per un certo tipo di istruzione, che possa integrarsi più facilmente con la famiglia; scelgono un lavoro più facile da svolgere se ci si deve anche occupare delle esigenze familiari, per esempio con un orario flessibile o part time.

Scelgono un lavoro vicino, e di solito in una piccola azienda, visto che le piccole e medie aziende sono molto più diffuse rispetto alle grandi, che però pagano di più.
Una donna su quattro occupa una posizione lavorativa al di sotto delle sue potenzialità, condizione che influenza fortemente le possibilità di avanzamento di carriera nonché la retribuzione.

GENDER PAY GAP: COME SUPERARE IL DIVARIO

fonte: Job Pricing

La linea che si sta seguendo è quella di rendere “visibili” le remunerazioni, secondo il principio che rendere noto il divario sia di per sé già un incentivo a sanarlo.
Dal 2017 è entrata in vigore nel nostro paese la direttiva europea sulla non financial disclosure; le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.

COSA ACCADE IN EUROPA?

Negli altri paesi dell’Ue esiste il gender pay gap?

Germania:

Il Bundestag tedesco ha approvato nel 2017 una normativa che dovrebbe favorire la riduzione dello scarto di remunerazione. La legge prescrive per le imprese con oltre 200 impiegati di render conto, a chi vuole saperlo, di quanto viene pagato un collega per la stessa prestazione lavorativa. Nel provvedimento sono coinvolte 18 mila imprese tedesche. Mentre circa 4.000 imprese con oltre 500 impiegati dovranno regolarmente fornire dei rapporti proprio sul trattamento salariale, chiarendo quindi quanto gli stipendi siano effettivamente allineati.

DA LEGGERE:
Come trovare lavoro in Germania.

Islanda:

In Islanda il governo (nel quale metà dei ministri sono donna) ha deciso di fare un passo in più. La legge prevede che i datori di lavoro forniscano documentazione sufficiente per ottenere la certificazione ufficiale di azienda o istituzione che davvero rispetta la parità retributiva tra gender.
Il controllo del rispetto della gender equality salariale non è, però, solo teorico.
E’ stato, infatti, affidato alla Lögreglan (polizia), alla polizia tributaria e anche al reparto scelto delle forze dell’ordine. I controlli inizieranno sono iniziati questo anno e termineranno entro il 2022.
Nel Paese, di 330mila abitanti, l’occupazione femminile è attorno all’80%, mentre il divario salariale si attesta tra il 14 e il 20%.

Gran Bretagna:

In Gran Bretagna è entrata in vigore la legge in base alla quale le società private con oltre 250 dipendenti devono pubblicare i dati relativi alle remunerazioni e ai bonus dei dipendenti (quanto e a quanti) con uno spaccato di genere.
Da quest’anno l’obbligo sarà annuale e interesserà 7.960 aziende e 11 millioni di dipendenti, pari al 34% della forza lavoro totale britannica.

DA LEGGERE: Come trovare lavoro in Inghilterra

Queste leggi sono certamente un modo per monitorare quello che accade nelle aziende e attuare soluzioni per limare il più possibile queste differenze, ma fanno davvero la differenza?

E’ necessaria una riformulazione dei modelli di business, creando i meccanismi necessari per poter rispettare i diritti delle donne che, oltre a un lavoro e a una carriera, hanno anche il desiderio e il coraggio di diventare mamme.

Il lavoro part time ( purtroppo, in alcuni casi, frutto non tanto di una scelta quanto di una necessità) è uno strumento che risolve in parte l’esigenze personali ma limita ed ostacola la crescita professionale.

Sarebbero necessari più interventi atti a facilitare il lavoro delle donne nonché la loro ascesa in azienda, ad esempio strutture e servizi che consentano alle donne la libertà di lasciare figli o familiari durante le ore di lavoro.

Lo smart working è uno strumento in lenta espansione che permetterebbe alle donne una maggiore flessibilità, ma è utile alla crescita professionale o c’è il rischio di avvantaggiare chi invece rimane in ufficio e quindi per lo più gli uomini?

Da Leggere: Smart working: come funziona 

Svezia: un sempio negativo.

Potrebbe essere una lama a doppio taglio proprio com’è è per la Svezia che chiamata in causa molte volte come modello sociale, nasconde invece una considerevole pressione sulle donne.

Il suo welfare infatti, offre eccellenti soluzioni come servizi per le cure prenatali, gratuite o sussidiate, offre 480 giorni di maternità e paternità e giorni di ferie aggiuntivi per le mamme che fanno lavori logoranti.

I genitori svedesi hanno l’opzione di ridurre le ore di lavoro finché il figlio non compie 8 anni di età e  al tempo stesso lo stato sostiene e sussidia gli asili nido per aiutate la donna nella gestione famigliare, ma quanto “costa” tutta questa assistenza?

Purtroppo il prezzo da pagare per le donne svedesi è che non si tratta di una scelta personale ma indotta da uno stato che , per carità, tenta di offrire pari opportunità lavorative ad entrambi i sessi, ma lo fa denigrando e stigmatizzando quelle donne che invece preferirebbe restare a casa per svolgere il proprio ruolo di madre.

VA MEGLIO PER LE LIBERE PROFESSIONISTE

Per le libere professioniste il divario si attenua.
Secondo un’indagine istat, in Italia ci sono circa 700mila imprenditrici di cui un terzo è titolare di imprese con dipendenti e il resto è composto da lavoratrici in proprio.

Di queste, quasi la metà (48,4%) si colloca nei settori dei servizi sia tecnologici che di mercato ad alta conoscenza contro il 39,0% dei neo-imprenditori uomini.
La differenza di genere nei settori ad alta intensità di capitale è praticamente nulla (17,1% di donne e 17,5% di uomini).
E’ vero che il 90% delle start up è ancora guidato dagli uomini e che le donne sono ancora poche anche nei team ma due delle aziende tecnologiche a più alta capitalizzazione nel mondo, Microsoft e Amazon, sono guidate da donne.
Le altre aziende dovrebbero trarre insegnamento da questo, anche perché, come mostra una ricerca Why Women-Owned Startups Are a Better Bet, condotta insieme alla rete globale di acceleratori di startup MassChallenge le imprenditrici, sembrano ricevere meno sostegno finanziario rispetto alle controparti maschili ma generano in media più del doppio delle entrate.

Qual è quindi la giusta via di mezzo? Tu in che situazione ti trovi? Hai fatto delle rinunce per la famiglia o per la carriera? Fammelo sapere nei commenti e condividi l’articolo su facebook.

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